A tu per tu con Ewan McGregor

Credit: photographer matt barnes @primopianotv

Di lui colpiscono da subito gli occhi azzurri, di un colore intenso, capaci di sguardi ricchi di intensità, seducenti, ironici, divertiti, furbi. Il suo volto si colora di maschere espressive, come solo quello di un grande attore sa fare. E poi, Ewan McGregor conquista per quell’energia contagiosa, quell’entusiasmo che raramente si trova in star come lui, più disincantate dall’esperienza e dagli anni passati sui set. Adesso, McGregor, a 45 anni, ha deciso di stupire tutti e di rimettersi in gioco, diventando un regista. In Italia è nei cinema con il suo, “American Pastoral”, con anche Jennifer Connelly e Dakota Fanning, storia di una famiglia americana borghese, apparentemente perfetta, che viene sconvolta quando la glia crescendo diventa una fanatica politica, coinvolta nel malcontento del 1960, e una terrorista. Vedrete presto Ewan, inoltre, nel tanto atteso ”Trainspotting 2”, il seguito del primo lm, sempre diretto da Danny Doyle. Stavolta oltre che il mondo della droga, analizzerà quello della pornografia. E, intanto, Ewan sta già pensando al suo prossimo lm da regista…

“American Pastoral” è la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Philip Roth, lo conosceva già?
Sì, avevo letto il libro e non riuscivo a togliermelo dalla testa. Era una storia a cui mi sentivo particolarmente vicino, perché sono padre di quattro glie (è sposato da tantissimi anni con una designer della produzione, la greco-francese Eve Mavrakis e sono genitori di Clara Mathilda ed Ester Rose, nate nel 1996 e nel 2001, come di due bimbe adottate, la mongola Jamiyan e Annouk, nate nel 2001 e 2011, ndr.) e conosco bene questo tipo di rapporto, quindi.

Era qualcosa che la colpiva personalmente, quindi?
Mi sono immedesimato ancor di più, perché mia glia Clara, mentre giravo, si stava preparando per lasciare casa e andare a New York, a frequentare l’università. In un certo senso, avvertire la sua mancanza, mi ha fatto sentire ancora più vicino al mio personaggio. Lui poi si trova a doversi fronteggiare con una glia che diviene assassina. La sua bambina, dolce e ingenua, si trasforma in qualcosa di totalmente estraneo a lui, sua moglie lo tradisce, tutto va in sfacelo. Ma lui continua a restare accanto e ad amare sua glia, la cerca dopo che è scomparsa, non molla mai. Anche in questo mi riconosco in lui, perché sono un tipo piuttosto testardo! (Ride, ndr.) Non solo sul lavoro, ma anche con le persone che amo. Non mi lascio scoraggiare davanti a nessuna difficoltà.

Per questo ha un matrimonio tanto duraturo in una Hollywood dove la maggior parte delle coppie si separa?
Io e Eve ci conosciamo da una vita. Siamo prima di tutto amici e abbiamo sempre avuto questa complicità. E poi lei è una specie di santa. Nel senso che mi sopporta e accetta che magari sia via per mesi sui set di tutto il mondo, come che parta per viaggi in motocicletta con i miei amici. Diciamolo chiaramente: non tutte le donne lo farebbero. (Ride, ndr.)

Come ha deciso, invece, di fare improvvisamente il regista?
In realtà era un’idea che maturavo da tempo. E credo di avere deciso di compiere ora questo passo, perché la vedo come una maggiore evoluzione nella mia carriera di attore. È come se potessi far sentire la mia voce, e allo stesso modo, diventassi parte di tutto il processo di produzione artistica. In principio avevo pensato di dirigere addirittura un libro italiano, “Seta” (di Alessandro Baricco, ndr.). Ero pronto per incontrare l’autore, ma poi mi capitò di sentire un’intervista in cui mirava ad a dare la trasposizione cinematografica solo a un grandissimo regista. E, onestamente, mi sono spaventato. Mi sono convinto che mai mi avrebbe preso in considerazione. Scusi se la sommergo di parole. So che posso essere troppo intenso… (Ride e fa una pausa, dopo un racconto fiume, ndr.)

Si immagini… Vada pure avanti…

Poi mi si ripresentò “American Pastoral”, che avevo avuto in mente da anni, da quando avevo letto per la prima volta il libro, e poi riletto. Fu il mio agente a propormi di dirigerlo, pensando fosse un soggetto adatto a me. Molti attori, come Jennifer Connelly e Dakota Fanning, erano già nel cast. Per prima cosa chiesi loro se si sentivano sicure di lavorare con uno alla prima esperienza come me e, per fortuna, accettarono subito.

Come attore trova di avere una particolare sensibilità nel relazionarsi con gli altri attori?
Cerco di evitare l’atteggiamento che odio di più al mondo in un regista, quello autoritario. Lascio loro libertà, ascolto la loro opinione, li lascio improvvisare. Mi a do a loro, oltre che a me stesso. Voglio che tutti si sentano a proprio agio, in modo da creare un lavoro di team.

Qual è stata la cosa più difficile di dirigere?
La grossa responsabilità che ho avvertito con tutti. Detto chiaramente, non volevo fare una figuraccia! (Ride, ndr.) A volte attori che sono alla prima prova da registi si fanno incantare dalla loro ingenuità e finiscono nello scontato o nel banale.

Pensa di ripetere questa esperienza, quindi?
Certamente. E, tra l’altro, sono anche alla ricerca di finanziamenti. In caso qualcuno legga e sia interessato a investire in una bella storia…

Al cinema la vedremo presto in “Trainspotting 2”. Ci anticipa qualcosa?
Era da tempo che volevo continuare le avventure del protagonista del primo lm. E, questa volta, si appassionerà al sesso e al porno, oltre che alle droghe. Ne vedrete di tutti i colori, quindi… E poi è sempre un piacere lavorare con il regista, il mio ami- co Danny Doyle, che di certo mi ha ispirato tantissimo, perché è stato il primo che mi ha diretto quando ero più giovane e inesperto. Lo considero un grande amico.

Desiderava diventare famoso?
Volevo solo fare quello che mi divertiva di più al mondo! (Ride, n.d.r.)

Sarà anche nel musical “The Beauty and The Beast”.
È stata un’esperienza straordinaria, come “Moulin Rouge”. Cantare e ballare mi fa sentire vivo ogni giorno, in un’emozione che paragono a quella del teatro, anche se si è su un set. Perché è come essere sempre live.

A proposito di passioni. Ci ha accennato prima a quella per la motocicletta…
Quando sono a Los Angeles, dove ora viviamo con tutta la famiglia da un po’ di tempo, cerco di cavalcarne sempre una sulla Pacific Highway, lungo la costa che da Malibù va verso Santa Monica e poi agli studios. Non entusiasmo i produttori o registi che spesso temono mi faccia male, ma non rinuncerei mai a quel senso di libertà con il vento nei capelli. Colleziono vecchie motociclette e auto vintage e so per no sistemarle da solo, se si rompono. Hobby che si è rivelato provvidenziale, specie quando mi trovo in qualche angolo remoto del pianeta…

Ha scritto libri, come “Long Way Round”, sui suoi viaggi in motocicletta, attraversando parti di mondo insieme a uno dei suoi migliori amici, oltre che a realizzare documentari. Altre avventure in programma?
C’è un viaggio molto esotico, in mete remote, che mi piacerebbe intraprendere, non appena riesco a trovare il tempo tra un lm e l’altro, dato che di recente lavoro molto. Oppure, me lo ricaverò, perché ogni tanto ho davvero bisogno di mollare tutto e partire.

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