GIORGIO MARCHESI un attore a 360°

Cover: jacket e denim Jacob Cohen; shirt Corneliani

Un talento scoperto sul campo e una passione nata nel tempo: è Giorgio Marchesi, ormai affermato attore italiano, classe 1974.  La sua formazione comincia a Padova, dove grazie a un corso di recitazione tutto ha avuto inizio. Dopo alcuni anni nel teatro e nella pubblicità, si trasferisce a Roma nel 2003, dove ha l’occasione di venire a contatto con il vero e proprio mondo dello spettacolo. Negli anni, Giorgio dimostra talento e determinazione, entrando a far parte di importanti produzioni teatrali, televisive e cinematografiche e lavorando con registi come Marco Tullio Giordana e Ferzan Özpetek, continuando ad affinare le sue competenze frequentando corsi, stage e seminari tenuti da importanti maestri.
Non solo attore ma anche padre, noi di Manintown ci siamo fatti raccontare qualcosa sui sogni e sulle passioni di un personaggio che, con i suoi modi decisi e gentili, sta affascinando sempre più il grande pubblico.

Hai sempre sognato di fare l’attore? Com’è cominciata la carriera di Giorgio Marchesi?

Da ragazzino in realtà sognavo più di fare il calciatore o il cantante. Avevo sicuramente l’attitudine da attore, ma ero ancora molto timido, facevo le battute con gli amici, le imitazioni, ma non pensavo alla carriera nel mondo dello spettacolo. Forse perché a Bergamo non era un mestiere così usuale. Più grande ho frequentato un corso di teatro, grazie al quale ho scoperto e potuto mettere in pratica la mia passione. Al termine del corso, dopo il saggio finale, mi hanno chiesto di fare uno spettacolo con la loro compagnia, e da lì non mi sono più fermato. Ho lavorato nella pubblicità, a Milano, per poi trasferirmi a Roma dove, per fortuna, le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto. All’inizio ho recitato molto in teatro, e dopo qualche anno sono arrivate le prime occasioni e le prime piccole parti nel cinema e in televisione.

Teatro, cinema o TV?

Sono tre cose molto diverse e se si ha la possibilità è bello poter variare e sperimentarle tutte e tre. Il cinema dura più a lungo nel tempo e mi è capitato anche che una parte più piccola mi regalasse una grandissima soddisfazione. La televisione, invece, dà una quotidianità, ti rende popolare o comunque ti permette di arrivare più facilmente alla gente. Spesso ci dimentichiamo quanto questo lavoro sia fatto per le persone, dobbiamo piacere a loro prima di tutto. Il teatro, invece, è la mia grande passione iniziale, richiede più disciplina e presenta più difficoltà. Appena penso al teatro penso alla fatica, al sudore, perché nonostante sia per molti aspetti più finto, per un attore è assolutamente reale. Il palcoscenico è un rapporto diretto con il pubblico, avviene in quel momento, non si può rifare la scena o “tagliarla”.

Ti è mai capitato di dover interpretare un personaggio molto lontano dalla tua personalità? Se sì, quale? Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato?

Si mi è capitato, anche più di una volta. Interpretare un personaggio lontano dalla tua personalità è sicuramente difficile, ma non sempre, è possibile invece che sia addirittura più facile, permette di esplorare campi sconosciuti e lasciarsi andare completamente.
Mi è capitato, per esempio, di recitare nel ruolo di assassino o torturatore, di dover quindi far finta di sparare a un bambino di quindici anni, cose che mi scioccano anche al solo pensiero di compierle nella vita reale. Quando reciti però tutto diventa un gioco, è finzione, quindi puoi e devi anche lasciarti andare e divertirti. Forse il personaggio più difficile per me è stato Franco Freda, neo-fascista e ex terrorista degli anni ‘70. È stato difficile interpretarlo perché venivo da ruoli di personaggi televisivi positivi. Per fortuna si trattava di una persona reale, ho quindi potuto studiare il personaggio e imparare a seguire i suoi ragionamenti attraverso i suoi scritti e immedesimarmi nel periodo storico. La grossa difficoltà sta nell’entrare nella testa di un personaggio, credo che ci si possa riuscire con delle improvvisazioni, liberandosi di quelle che sono le nostre abitudini. Molto importante è l’aiuto di una persona che ti guidi, e in questi casi la figura del regista è fondamentale. Mi hanno sempre insegnato che un attore deve essere sempre aperto, non giudicare, non giudicarsi e lasciare che il personaggio si impossessi di lui, lasciando cadere tutte le proprie sovrastrutture.

In che modo essere un attore e saper recitare influisce nella vita di tutti i giorni? 

Non so quanto nella mia vita quotidiana influisca essere attore, me ne dimentico. Mentire mentono tutti, noi anzi siamo nella condizione più sfortunata, tutti pensano che, visto il nostro lavoro, sappiamo mentire meglio degli altri o che mentiamo nella vita reale come nella finzione. In realtà, posso assicurare che mentono molto meglio altre categorie di persone. È sicuramente un lavoro che condiziona psicologicamente, molti vedono soltanto la parte luminosa di questo mestiere, che c’è, ma non solo. Non a caso moltissimi attori, principalmente quelli hollywoodiani particolarmente stressati, hanno un sacco di problemi nella vita normale, come dipendenze di vario genere, infelicità, depressione. Questo in parte accade anche ai poveri, piccoli giovani attori italiani. Detto ciò, non credo aiuti particolarmente essere attore nella vita di tutti i giorni, come in tutte le cose bisogna trovare un equilibrio e avere interessi anche al di fuori del lavoro.

Il momento più emozionante della tua carriera fino a oggi.

Forse la prima volta in assoluto in cui mi sono esibito. Il massimo della soddisfazione l’ho ottenuta uscendo dopo uno spettacolo e ricevendo un applauso convinto e sincero da parte di persone che sono venute a vedermi e hanno condiviso un momento che rimarrà per sempre unico. Il momento più bello in assoluto della mia carriera vera e propria invece, è stato nel 2012, quando contemporaneamente mi esibivo al teatro Argentina a Roma in uno spettacolo molto importante, stava uscendo la prima serie di “una grande famiglia”, fiction di successo in cui interpretavo un personaggio importante, e sempre in quel periodo ero al cinema in altri due film. Questo è stato il momento in cui ero coinvolto in tanti progetti molto belli che comprendevano tutte le sfaccettature del mio lavoro, è stato l’anno in cui ho cominciato a farmi davvero conoscere, sia dagli addetti ai lavori che dal grande pubblico.

Le tue passioni? Come ami trascorrere il tuo tempo libero?

Sicuramente l’Atalanta, la squadra di Bergamo e la musica funky degli anni ‘70. Amo, ovviamente, anche il cinema e il teatro. Mi piacciono talmente tante cose che ho sempre desiderato una giornata di 48ore. Sono appassionato di sport, cinema, arte, libri; mi piace stare con le persone a chiacchierare, ballare e, perché no, ubriacarmi. Mi piacciono troppe cose per riuscire a fare tutto. Quello che faccio più spesso nel tempo libero è occuparmi delle persone che mi stanno più vicine, un dovere e anche un piacere avendo due figli e una compagna. Di solito, infatti, cerco di unire quello che mi piace fare a loro, sport con loro, andare a vedere un film con loro, insomma, fare cose piacevoli tutti assieme. Amo viaggiare, cerco di farlo il più possibile, e una cosa in particolare che mi fa stare bene è il verde, la natura. Ogni tanto ho bisogno anche di relax, ma in generale non riesco a stare troppo fermo.

Quanto è importante lo stile per te? Hai un capo e/o un brand che più ti caratterizza?

Lo stile è sicuramente importante e per me lo sta diventando sempre più col tempo. Da ragazzo nei miei look non è mai mancato un pizzico di originalità. Sono stato un collezionista dei più strani e improbabili cappelli e occhiali da sole. Il mio preferito è un cilindro che ho comprato a Londra, che mi sono portato in giro dappertutto. Non ho ancora un brand che mi caratterizza, ma se penso a un capo subito mi viene in mente la giacca, ormai indosso la giacca per fare qualsiasi cosa, non solo per le occasioni importanti. La trovo comoda, ha tante tasche, quando viaggio lo trovo il capo più funzionale

Sogni ancora nel cassetto? 

Sicuramente un viaggio lungo. Mi piacerebbe vedere l’Africa e starci almeno tre mesi. A dirla tutta mi piacerebbe avere tre mesi all’anno per poter girare il mondo.

Photo by Roberta Krasnig
Stylist Stefania Sciortino
Assistente fotografo Jacopo Gentilini

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