“FUORI GIOCO THE PASS” CON EDOARDO PURGATORI E MIGUEL GOBBO DIAZ

Da giovedì 31 gennaio a domenica 17 febbraio 2019

Dodici anni. Tre camere d’albergo. Un’ultima scommessa.
Quanto sei disposto a perdere per vincere?

Un’intervista doppia ed esclusiva ai due attori protagonisti Edoardo Purgatori e Miguel Gobbo Diaz nella prima trasposizione teatrale italiana della pièce presentata al Royal Court Theatre di Londra nel gennaio 2014.
Lo spettacolo suddiviso in tre atti ci racconta la storia di due ragazzi diciannovenni, in competizione tra di loro la notte prima della decisione di chi tra i due entrerà a far parte di una grande squadra.
Ma proprio quella notte succederà qualcosa che li cambierà per sempre, infatti uno abbonderà il calcio e vivrà la sua vita apertamente gay, l’altro arrivando a compensi milionari che come sempre prevedono grandi sponsor alle spalle, sarà costretto a vivere la sua omosessualità in totale segreto.
Siamo nel 2019 eppure sulla carta abbiamo solo un ex calciatore dichiaratamente gay, per il resto rimane tutto nell’ombra.
Proprio per questo l’importanza del testo originale di John Donnelly viene rimarcato con il patrocinio di Amnesty International e del CONI. Il tema dell’omofobia viene trattato con estremo garbo, e sarebbe consigliabile di poterlo vedere a tutti, soprattutto alle nuove generazioni, che hanno bisogno di segnali di amore e non di odio.
Forse qualcosa sta cambiando.

1- Che cosa hai pensato quando hai letto la sceneggiatura.

M: Che era una fantastica occasione, in quanto il calciatore fa parte della mia adolescenza, e l’attore è il mio mestiere.

E: Ho pensato che era una figata. Infatti, ho finito di leggerlo alle quattro del mattino e ho detto subito di si. Il testo proveniva da un festival di pièce con autori stranieri mai portati in scena in Italia, l’occasione era perfetta.

2- Avevi già lavorato con il tuo partner di scena?

M: Si avevo già lavorato con Edo ne “La grande rabbia”.

E: Si ma ci eravamo incontrati poco nel film, però il ricordo era bellissimo.

3- Hai esitato o hai detto subito di si per questo spettacolo?

M: Le cose son andate in maniera strana, in quanto la prima volta che mi hanno chiesto di partecipare a questo provino non c’ero perché ero a Londra. La seconda volta stavo girando la fiction” Nero a metà” e poi finalmente l’anno scorso, ero appena atterrato ed ho avuto modo di fare il provino e di li siamo partiti.

E: Quando uno può scegliere i propri progetti è sicuramente una grande fortuna, e questo è nato con la mia compagnia teatrale che si chiama “La forma dell’acqua” con la regia di Maurizio Mario Pepe.
Il prossimo anno sicuramente andremo in giro per l’Italia con lo spettacolo.

4- Senti la responsabilità di portare un messaggio forte come quello dell’omofobia nello sport.

M: Assolutamente sì. Soprattutto a quei livelli dove l’immagine è così importante, sarebbe bello che un giorno le persone si sentissero libere di poter essere sé stessi nonostante il lavoro svolto.

E: Il teatro è un luogo d’incontro prima di tutto, penso che l’arte in generale sia intrattenimento, quindi come minimo non bisogna annoiare il pubblico, poi se si riesce a trasmettere un messaggio forte al punto di porsi delle domande, vuol dire che si sta facendo qualcosa di meraviglioso.

5- Perché secondo te tutt’oggi è ancora un problema inaffrontabile essere gay nel calcio.

M: Credo che a quei livelli l’immagine che deve dare un calciatore è quella dell’uomo sposato con una bellissima donna, con figli ed una vita quasi perfetta. Sono abituati a vedere quello che loro chiamano “normale”, tutto li.

E: Si sono abbattuti parecchi muri a riguardo, però il calcio è ancora troppo legato alla cultura del virilismo e machismo, sono tifoso della Roma e so perfettamente che cosa viene detto allo stadio.
Anche Lippi che ci ha fatto vincere un mondiale ha detto “non ho mai conosciuto un calciatore gay”, statisticamente impossibile, ma questo è ciò che la gente vuole sentir dire.

6- Perché bisogna venire a vedere lo spettacolo

M: Perché lascia un messaggio molto forte, ovvero la scelta di vivere la vita per come sei o nasconderti dietro ad un’immagine.

E: Andare a teatro fa bene a tutti a prescindere, e questa è una storia che vale la pena di essere ascoltata.

7- La cosa più difficile di questo ruolo?

M: La consapevolezza dell’essere gay quando si è giovani. Con una tenerezza ed una sensibilità che hanno le persone che sentono delle emozioni ma non le vogliono seguire.

E: È una struttura classica quella di questo spettacolo, con la trasformazione del personaggio in tre fasi, quindi il far vedere tre momenti diversi della vita di questo personaggio.

8- Chi è più bravo dei due?

M: Abbiamo una connessione molto forte, ma non potrei mai dire chi è più bravo.

E: Quando siamo in scena ci divertiamo, ma ovviamente io! (ride)

 

 

 

ph. Manuela Giusto
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