Calabrese 1924: da un secolo (o quasi) prende gli uomini per il collo

Un gustoso pamphlet degli anni ’80 del secolo scorso esamina entomologicamente “follie e virtù, storia e attualità, psicologia e linguaggio” della cravatta. Presentato dal conte Giovanni Nuvoletti, famoso bon vivant e marito di Clara Agnelli, sorella dell’Avvocato d’Italia, l’Elogio della cravatta (Idealibri,1982), indaga a fondo su questo oggetto del desiderio maschile e sui suoi significati intrinsechi ed estrinsechi, rivelando pure preziosi indizi su come indossarla. Dettami validissimi anche adesso, a più di trent’anni di distanza, a dimostrazione che l’eleganza non è una questione di tempi o di diktat passeggeri e che la cravatta è tutt’ora protagonista per eccellenza del guardaroba maschile. Chi di eleganza da annodare attorno al collo se ne intende davvero è Calabrese 1924. A dispetto del nome, anzi del cognome, non siamo a Reggio Calabria e dintorni, poiché è un purissimo marchio napoletano di cravatte d’autore. La storia della griffe comincia negli anni ’20 all’ombra del Vesuvio, grazie all’intuito imprenditoriale di Eugenio Calabrese. Esteta e cultore del ben vestire, fu lui a fondare il piccolo laboratorio di sartoria da cui tutto ebbe inizio. Con Francesco, figlio del fondatore, le cravatte fecero il giro d’Europa e oltre, conquistando i colli più esigenti e raffinati. A Gaetano, e siamo alla terza generazione di creatori di stile, negli anni ’60 si deve l’invenzione delle pence posteriori, quelle piegoline di tessuto sull’interno della punta che incorniciano la fodera, così da non farla apparire lungo i bordi. Oggi, al timone di quello che può essere considerato uno dei cravattifici sartoriali più antichi d’Europa, c’è Annalisa, la figlia di Gaetano. Con lei la griffe ha ampliato e armonizzato la dimensione produttiva, affiancando alle preziose cravatte, sciarpe, borse e borsoni da viaggio, porta tablet e una capsule di beachwear. Sempre partendo dall’assioma che: eleganza vuol dire esprimere se stessi.

www.calabrese1924.com

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